È davvero sbalorditivo constatare che siamo costantemente circondati da opere d’arte senza accorgercene; ovviamente non mi riferisco agli abitanti di Roma che possono vantare di abitare in una città che è un museo a cielo aperto, ma a tutti quegli elementi che si ispirano all’arte per creare qualcosa di nuovo e allo stesso tempo riconoscibile.
Sono
arrivata a questa conclusione in un modo al quanto curioso; un pomeriggio mi
sono seduta a un bar per bere un cappuccino, azione che non ha nulla di
artistico, ma mentre mi guastavo il mio orzo con latte e schiuma mi sono
accorta di un dettaglio interessante. Sul lato del porta tovaglioli appoggiato
sul tavolino c’era scritto “Mosé”, riferito al nome del locale, le cui quattro
lettere erano circoscritte all’interno di un quadrato: la “m” a sinistra e la
“o” (leggermente inclinata) a destra entrambe in alto e, in corrispondenza,
sotto la prima lettera elencata, la “s” e sotto la seconda lettera elencata
(questa non inclinata però) la “e”.
Probabilmente
l’opera l’avete già presente o qualcuno di voi ha addirittura avuto il piacere
di vedere la versione più conosciuta in scultura ancora oggi esposta alla
Fondazione Magnani-Rocca.
Come
già detto, l’opera ebbe un successo planetario, così tanto che non solo mise in
ombra tutte le precedenti creazioni di Indiana, ma oscurò l’autore stesso, riducendolo
a fotografarsi davanti alle sue stesse opere per poter farsi riconoscere il
merito delle sue invenzioni (senza considerare il fatto che non avendo mai
registrato il marchio dell’opera non gli vennero riconosciuti i diritti
d’autore).
Oltre
a questo un altro dettaglio curioso è la storia della sua creazione. Il L.O.V.E. come lo conosciamo noi, in
realtà, non è l’idea originale: Indiana prese ispirazione da una sua opera precedentemente
realizzata per la parrocchia che frequentava. La “scritta” di cui stiamo tanto
parlando la creò sotto richiesta del museo MoMa di New York, che voleva
inserirla nelle cartoline natalizie a disposizione dei clienti del Bookshop.
Come si può immaginare queste cartoline andarono a ruba, mettendo in secondo
piano tutti gli altri gadget che il negozio aveva da offrire; tutti volevano
poter diventare proprietari di questa opera d’arte stampata su carta, tanto che
9 anni dopo, nel 1973, la U.S. Postal Service ebbe la geniale idea di produrre
330 milioni di francobolli con sopra stampata l’opera L.O.V.E., che ancora oggi vengono rivenduti dopo quasi 50 anni
dalla loro creazione.
Come
potete capire le sue riproduzioni furono molteplici, ma una fu più importante
di altre, dimostrando ancor di più come sia possibile prendere spunto da un’opera
per crearne una nuova: il tema portante di quest’ultima, invece di manifestare
apertamente il sentimento dell’amore (come nell’opera di Indiana), esponeva un
grosso problema che la politica e la società di quei tempi non prese sul serio,
nel quale di amore, ovviamente, non c’era proprio nulla, ma, al contrario,
causò la morte di molteplici persone, tra cui molti artisti; mi riferisco
all’opera IMAGE VIRUS dei General
Idea, realizzata nel 1988 a San Francisco.
Per
chi non lo sapesse, i General Idea furono un collettivo artistico formato da
Felix Partz, Jorge Zontal e AA Bronson, che furono attivi per quasi trent’anni
(dal 1967 al 1994) nelle zone comprese tra Toronto e New York, e il loro modo
di comunicare era molto particolare rispetto a quello di altri artisti: non
realizzavano sculture o dipingevano su tele, ma si esprimevano con manifesti, cartelli
pubblicitari, stampe o addirittura palloncini, mezzi assolutamente anti
convenzionali; per questa opera usarono della carta da parati, copiando dall’opera
originale di Indiana i colori e la struttura tecnica, ma cambiando le lettere,
in cui all’interno dell’invisibile quadrato al posto della parola “love” misero
la parola “AIDS”.
Oggi
per noi parlare di AIDS non è un tema sconvolgente, sappiamo che è una grave
malattia sessualmente trasmissibile che può coinvolgere entrambi i sessi
indipendentemente dalle preferenze affettive; a quei tempi, invece, veniva
vista come una malattia che colpiva solo le persone gay, così che il governo
statunitense decise di non “sprecare” del tempo nel cercare una cura per le
povere persone che la contraevano, come se il pensiero fosse stato che l’AIDS
fosse la soluzione contro il “problema” dell’omosessualità. Keith Haring è solo
uno degli innumerevoli esempi di artisti morti a causa di questa malattia dopo
un lungo e doloroso travaglio , oppure la fotografa Nan Goldin, ancora viva, fu
anche lei molto attiva su questo tema, fotografando le tremende condizioni
delle persone malate all’interno degli ospedali.
La
morale della favola è che siamo circondati dall’arte più di quanto pensiamo; un
semplice disegno in realtà può nascondere un pensiero o un messaggio che in
altri tempi aveva uno scopo molto profondo da comunicare.
Anche se questo è solo un esempio, intorno a noi possiamo trovarne molteplici
altri che prendono ispirazione da qualcosa di già esistente per creare qualcosa
di nuovo: questo non significa che abbia meno valore, proprio come i General
Idea, con la loro rivisitazione di L.O.V.E.,
fecero per l’AIDS.
Chissà
quante opere non sono mai state realizzate a causa di questa malattia.
Fonte prima immagine: non soggetta
a copyright; fonte seconda immagine: sconosciuta
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